Liceo breve, tempo pieno, tempo scuola
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Vorrei suggerire qualche spunto in più, utile al dibattito “liceo breve” che sta attraversando file di ombrelloni e di colonnini corrugati. La sperimentazione di cui si discute è predisposta sotto il dicastero Carrozza, ripresa durante il dicastero Giannini e sarà operativa con Valeria Fedeli o chi dopo di lei, nell’anno scolastico 2018–2019.
L’aggettivo “breve” è insidioso: si tratta in realtà di percorso di scuola superiore che non prevede meno ore di lezione (dovrebbero essere poco più di mille rispetto alle poco meno di mille ordinarie dei licei, e alle mille circa dei tecnici e dei professionali), da svolgere in 4 anni e non in 5. In particolare avranno più o pari ore di lezione, laboratori, più attività e più docenti.
Da circa 40 anni il 63.% delle scuole superiori ha una sezione sperimentale: sono fortemente attrattive e sono comunque belle realtà, segno di vitalità di riflessione didattica e pedagogica. Oggetto di più norme vengono proposte da un singolo istituto o da una rete di scuole con voto nel collegio di docenti, da una pressione delle famiglie o degli studenti e devono avere caratteri di innovazione e di qualità. Oppure la si sceglie tra una serie di sperimentazione esistenti, e sono davvero tante. Una sezione di corso sperimentale costa di più non di meno. Questa in particolare riguarda non solo i licei, ma qualunque tipo di scuola secondaria di secondo grado, sempre su base volontaria, sempre su richiesta della scuola. Il progetto iniziale era su 40 classi, sono state aumentate a 100 per la forte richieste da parte delle scuole.
Come tutte le sperimentazioni è soggetta a monitoraggio dei rendimenti, deve tenere alto un livello di qualità, dunque avere docenti molto bravi e particolare cura del progetto complessivo. Avrà la fila per entrarci, può darsi che solo i ragazzi con rendimenti più alti in partenza o, diciamolo, raccomandati, riusciranno ad entrarci. Non chiedete a me il perché, chiedetelo a quelle scuole. Ed è questa la critica o l’analisi che i più attenti dovrebbero fare, l’opportunità del carattere del privilegio. Ma è il carattere di ogni sperimentazioni. Ciascuna scuola presenterà la sua proposta e il ministero la valuterà prima di approvarla, il giudizio potrà darsi sui progetti messi in campo, che ancora sono da venire: quali obiettivi didattici, quali profili in uscita, quali contenuti, quale il collegamento verticale coi percorsi precedenti o il rapporto col territorio, coi contesti, etc..etc…Andrà bene? Andrà male? Lo diranno i rilevamenti dei rendimenti. Se non saranno alti verrà chiusa. Il complottismo banale “lo Stato ci vuole ignoranti” però no, ve ne prego. No. Costa di più mantenere un popolo con livelli d’istruzione bassi che cercare di elevare i livelli d’istruzione della popolazione. Anche perchè q tesi simili in genere vengono portate avanti esattamente dalle persone con meno istruzione e che non leggono libri. Insieme alla tesi che la terra è piatta e che l’uomo sulla luna non è mai planato.
Pongo una domanda e non per cambiar discorso. Molti sanno che il tempo pieno nella scuola primaria (40 ore alla settimana contro le 27/30 del tempo normale ) è quasi normale al centro nord mentre è quasi assente al sud (per tanti motivi: storici, economici, sociali, sindacali, politici…). Tale difformità di offerta non riguarda poche classi ma è ormai strutturale: al nord generalmente c’è, al sud generalmente non c’è. Comporta una differenza complessiva di circa due anni in meno di scuola frequentati alla fine della terza media da un ragazzino di Palermo rispetto al suo coetaneo di Trento. Silenzio totale, non leggo editoriali, non sento dibattiti, nemmeno dagli “addetti ai lavori”. Pochissimi docenti se ne occupano e preoccupano, pochissimi dirigenti sia scolastici, che degli uffici centrali e periferici del Miur. La maggioranza delle persone poi non ne sa assolutamente nulla. Eppure è un argomento molto serio.
Nella scuola primaria si formano le competenze di base, primo gradino delle competenze chiave e di cittadinanza su cui sarebbe l’ora di aprire una riflessione collettiva visto che pochi ne sanno dire ,eppure ne scrivono (cito Settis: “le competenze non servono a nulla) dimenticando che, ad esempio, la “comprensione del testo”, alla base degli studi sull’analfabetismo funzionale della popolazione adulta che tanto ha impegnato le riflessioni dell’ultimo De Mauro, è una competenza. Come confermano indagini, studi e le rilevazioni internazionali OCSE PISA, tali competenze si preparano nella scuola dell’infanzia, finalmente inserita anche in Italia con la legge delega sullo “zero-sei anni” come parte del processo educativo e non come servizio alla famiglia, e anche quella al Sud latita, anche se influisce enormemente sui rendimenti scolastici successivi.
Un paese spaccato in due per offerta di tempo scuola nel ciclo primario 0–13: mi aspetterei la rivoluzione, se tanto mi da tanto, invece silenzio. Conseguentemente spaccato in due nei rendimenti scolastici: mi si dirà che è il contesto. Appunto, il contesto lo si contrasta con offerte di tempo scuola adeguate. Tra l’altro, a proposito di esodo dei docenti dal Sud al Nord: https://www.google.it/amp/s/scirocconews.com/2016/08/13/non-serve-scomodare-einstein-per-capire-che-basterebbe-istituire-anche-al-sud-il-tempo-pieno-per-evitare-lesodo-al-nord-degli-insegnanti/amp/ , e forse, laddove non stato è forte abbastanza l’argomento «bisogno educativo dei bambini», quando dovrebbe bastare, magari lo diventa l’esigenza dei docenti di tornare al Sud.
Non ci riferiamo a cento classi che faranno persino più ore di scuola e dunque più docenti, e quasi il cento per cento delle persone che ne dibattono non lo han compreso, perché continuo a leggere di “risparmi” e “scuola tolta”, no, non ci riferiamo a cento classi, bensì a metà paese che usufruisce di circa due anni effettivi di ore di scuola in meno e da lustri, e quelle stesse persone che dibattono non ne fan parola. La questione rasenta l’incostituzionalità eppure non suscita nemmeno una vocale come le cento classi di cui sopra. Perché non lo sanno? E se lo sanno perché stanno zitti? Qualcuno, un dirigente scolastico, anni fa mi disse: non contano le ore di scuola ma la qualità e l’intensità. Ah sì? Esca fuori e ce lo ridica. Inseriremo quelle argomentazioni nel presente dibattito. Qualcun altro, più saggiamente, mi ricorda che dobbiamo parlare di tempi educativi e i tempi educativi sono tempi lunghi. Vero, valga sempre. Approfondiamo, approfondiamo. Un altro invece mi dice “le famiglie al sud il tempo pieno non lo chiedono”. Anche di questo: parliamone. Non lo chiedono dove? E perché non lo chiedono? E non sarebbe il caso di offrirlo o prevederlo comunque? O le ore di scuola sono preziose solo al liceo, dove statisticamente vanno studenti di ceto medio alto, mentre alla primaria, soprattutto in contesti deprivati, dove le famiglie non sono sempre sensibilizzate nei riguardi dello studio e della scuola, no? E questa battaglia per i figli più sfortunati chi la fa?
A proposito di qualità e intensità, di scuola di ieri e di scuola attuale c’è anche un altro aspetto da considerare. Il cartello di cui nella foto l’ha scritto, stampato, timbrato, firmato e affisso sulla porta del suo studio un simpatico medico di circa 60 anni. Uno di quelli che ha frequentato il glorioso liceo classico della bella scuola che fu. Il cartello è quasi incomprensibile, difetta di grammatica, di ortografia e di punteggiatura. Una summa sociale quel cartello, sull’importanza della forma avendo però perso la sostanza.
Dottore, lei legge? “Un tempo, quando ero a scuola, tantissimo. Oggi chi ha più tempo?” Ah, ecco. Magari riteniamo importante, come lo è, fare movimento, per la salute fisica, ma non riteniamo che sia altrettanto importante coltivare un muscolo vitale come la testa e i testi. Chi ha più tempo?
Circa il 65% della popolazione adulta in Italia, anche con titolo di studio elevato, che abbia la licenza media o la maturità classica, è composto da analfabeti funzionali. Lo ripetiamo in tanti, citiamo sempre più spesso il compianto De Mauro che tanto approfondì il tema, ma i più non sanno che le famose competenze che non servono a niente sono come muscoli, senza l’uso si rattrappiscono, vanno coltivate, sempre, lungo tutto l’arco della vita. La comprensione del testo è una di queste e si coltiva leggendo libri, non bastano i giornali e non bastano i social: lettura dei libri. La comprensione del testo non è banalmente leggere l’ultimo libro di tizio, e sarebbe comunque tanto, ma è arricchimento del vocabolario e dunque dei pensieri, è allenamento della testa, dunque comprensione del mondo, dunque inquadramento dei problemi. Bastano due anni a digiuno totale di un libro e inizia la regressione. In pochi lo sanno. Anche se si è frequentato il miglior liceo d’Italia e per sei anni al posto di cinque. Se poi si appartiene a un contesto deprivato, di una scuola del Sud, in cui alle fragilità all’ingresso si offrono due anni in meno di scuola rispetto a chi in contesti avvantaggiati ha due anni di scuola in più, e poi magari si prosegue per un professionale, o si lascia la scuola, e nella mia regione questa condizione riguarda un ragazzino/a su tre, è ancora più difficile che si maturerà il senso della lettura e dell’approfondimento. Che, ripeto, non è diletto, è aria, è cibo, è comprensione dei fenomeni complessi, è, sinteticamente, libertà.
Siamo un paese in larga parte rattrappito che non mette a fuoco i problemi, in cui persino la sua élite, quando si appassiona di temi che non conosce, ma di cui è giusto ed è bene dibattere e lo fa, ad esempio temi legati all’istruzione, ma vale anche per altro, è capace di discutere solo a partire dalle proprie esperienze, senza allargarle o interrogarsi sulla complessità delle questioni spesso solo sfiorate (altro indicatore di analfabetismo funzionale), molto banalmente perché, al riguardo della questione di cui dibatte, non ha né approfondito, né studiato, né letto. Per tornare al caso in questione: se continuo a leggere che questa sperimentazione non convince perché “toglie ore” o perché “è solo un risparmio” è proprio perché chi ne dibatte non ha né approfondito, né studiato, né letto. “L’informazione diffusa è stata sbagliata allora” No. L’informazione, a cercarla c’è. Ma oggi l’informazione è un post su un social o un editoriale di persona autorevole che però non ha affatto approfondito, non è risalito alla fonte, non ha verificato per bene alcuni aspetti, e, ad esempio, se il problema è la brevità o il risparmio, non ha verificato se veramente c’è quella brevità, che a scuola si misura in ore di scuola, o quel risparmio. Anche un collaboratore Ata sa che se ci sono laboratori, tempo prolungato nella giornata e più ore, non è qualcosa che costa di meno ma di più. Rimane da capire su cosa si dibatte in quell’editoriale, se ancora i singoli progetti e programmi non sono stati presentati e li presenteranno le scuole. E magari è persona che glorifica l’importanza del senso critico. Si potrebbe dibattere di cicli scolastii nel complesso, ecco. Sì.
Diceva Dewey, già cento anni fa, che l’istruzione non è parte della vita bensì la vita stessa. In Italia è drammaticamente una piccola parte di un periodo della vita. A prescindere da quanti anni di scuola si frequentino e dal tipo di studi, dopo aver acchiappato un titolo, raramente si legge o si studia. LO dicono le statistiche, non lo dico io, lo confermano i test Piaac, non lo dico io. Liceo breve, lungo o intenso che sia, per carità, tema interessantissimo, ma andrebbe ripreso di fronte al progetto specifico di quella sperimentazione per analizzarlo, i problemi sono tanti e sono tanti altri, e vanno a influire sulla qualità economica, sociale, politica e culturale collettiva: un problema è un paese spaccato in due, un problema sono i percorsi di studio da riconsiderare, non solo in termini pragmatici, per i profili in uscita, ma anche in termini filosofici ed epistemologici, in relazione a nuovi linguaggi e a nuovi meccanismi culturali, sociali ed economici, perchè se non capisco o non so cosa sono e che importanza hanno e come si implementano e come si valutano queste benedette competenze per il 21esimo secolo, di cui la comprensione del testo è la prima, di che parlo? Un problema è l’assenza totale di una cultura e di politiche del life long learning, fosse solo semplicemente la lettura, che non è diletto ma aria. E tanti, tanti altri. E’ bene discuterne, è bene parlarne, è bene approfondirne.