Sembrava fosse un piano e invece era una fregatura

mila spicola
7 min readDec 24, 2020

Pubblicato il 9 dicembre 2020 su Huffington Post Italia. E’ un commento alla bozza del Recovery Plan, ieri, 23 dicembre, sono state pubblicate sulla stampa notizie in merito alle proposte contenute nel piano, non mi pare le percentuali e i criteri di distribuzione siano mutati

“È l’argomento del giorno: la governance del piano per la spesa dei fondi UE per la ripresa, da noi denominati Recovery Fund, in Europa noti come Next Generation EU. Fosse solo la governance il problema. Io ritengo che la governance per noi cittadini sia da tenere per adesso sullo sfondo, e di analizzare il merito, le proposte contenute in quella bozza e le percentuali. Lo dico soprattutto a quante di noi stanno battendosi per avere maggiore attenzione su alcuni temi: i temi sociali, la scuola, le donne, posto che temi sociali e scuola significano anche donne.

È inutile affannarsi da parte di noi donne, per entrare nelle task force: se non ci sono soldi da gestire per le donne e il sociale, quel che si chiede da mesi, rischiamo di andare a giocare a burraco.

Dalle bozze di proposta sul come spenderli, che fanno capolino sulla stampa, più che il futuro si intravede un Past Generation Eu.

L’Italia trascina ritardi strutturali antichi che la schiantano in basso nelle classifiche europee. I più gravi e su cui da sempre l’Europa ci chiede di intervenire sono il lavoro delle donne (penultimi in Europa), il lavoro dei giovani e la loro condizione (primi per numero di Neet, e vorrei ricordare che Neet non significa “fuori dallo studio” semplicemente, facendo pensare solo a basse qualifiche; anche, certo, ma molti dei Neet sono diplomati e anche laureati e la percentuale più alta è composta da donne) e la Scuola (primi per dispersione scolastica e più o meno ultimi per competenze).

Le motivazioni per questi ritardi strutturali sono anch’esse strutturali e, approfondendo bene numeri, dati e indicatori, la radice dei mali porta sempre allo stesso punto: investimenti mancati o tagliati proprio nelle infrastrutture sociali del Paese.

Ancora: sono ritardi che si sovrappongono alle analisi sugli indicatori di povertà e sui ritardi territoriali, tanto da coincidere e formare delle macroaree di ritardo sistemico che poi si traducono in forti divari economici, culturali, sociali interni tra Nord e Sud. Dunque si sovrappongono fasce sociali critiche, composte perlopiù da donne, giovani, minori in condizioni economiche-sociali-culturali fragili o molto fragili, e regioni con tessuti territoriali altrettanto fragili. Non solo in termini economici, ma anche in termini di deprivazione da servizi: scuola, sanità, assistenza.

Per dirla facile: negli anni ai poveri abbiamo tolto servizi invece di darli e abbiamo monetizzato il supporto, individualizzato gli aiuti. Abbiamo sostituito lo Stato, perché le infrastrutture sociali sono lo Stato, con altre forme di assistenza monetizzate e privatizzate. Abbiamo tolto diritti, perché le infrastrutture di cui si parla sono diritti di cittadinanza — basterebbe andarsi a rileggere gli articoli 116 e 117 della Costituzione e sbrogliare quella matassa-alibi del dar meno a chi ha meno, che è ormai la questione dei livelli essenziali delle prestazioni -. Sigle oscure che significano: a te donna, minore, giovane, soprattutto povero non ti ho dato quello che era tuo diritto avere. E continuerò a non dartelo, magari ti metterò in tasca qualche euro, un bonus, che tu spenderai o non spenderai come meglio credi, ma continuerai a non avere quello che lo Stato Costituzionale afferma di doverti dare: scuola, sanità e assistenza. Ambiti che non rientrano nel piano del “come meglio credi” e “a domanda individuale”, ma nel piano del diritto generale, ovvero offerta dovuta.

Gli effetti di tali politiche (assenti investimenti sulle infrastrutture sociali, assistenzialismo monetizzato, investimenti “industriali” che planano in deserti amministrativi, infrastrutturali e di competenze) le possiamo osservare in aree del Paese dove queste politiche si praticano da sempre, ad esempio al Sud: basse competenze e conoscenze medie della popolazione, servizi inesistenti, tessuti economici e produttivi desertificati. Tessuti sociali desertificati: per denatalità e per emigrazione. Ma il senso comune si sostituisce al buon senso e dunque perchè non praticarle ancora?

Andiamo al concreto, sarebbe il momento di invertire le rotte. Possono farsi collegamenti diretti tra il tasso di occupazione femminile, gli indicatori di natalità e l’offerta di nidi e tempo pieno nella primaria. Tra il tasso di dispersione scolastica e i bassi rendimenti e, sempre, l’offerta di nidi e tempo pieno. Tra il tasso di occupazione giovanile, soprattutto delle ragazze, e l’offerta diseguale di scuola e accesso alla formazione di competenze oggi vitali, come le “educazioni” (digitale, finanziaria, tecnologica…). Problemini, no? Evidentemente sembrano cose da lasciare sullo sfondo, sicuramente non albergano, a scorrere le bozze del Piano, nella testa di classi dirigenti vecchie di visione e poco accorte.

Eppure, i nostri ritardi, che necessiterebbero con urgenza quelle azioni mirate, utili proprio alle future generazioni, sono essenzialmente in quegli ambiti, da sempre, in era Covid di più.

Quello che è crollato è il lavoro delle donne, il lavoro dei giovani e le scuole, nei luoghi e nei tempi dell’emergenza, arrancano a mettersi al passo non dico con la didattica digitale, ma proprio con la didattica. Ocse Pisa, ma anche altri studi molto approfonditi fatti in alcuni paesi sul piano della rilevazione dei rendimenti, hanno fatto il calcolo del costo futuro per ciascun/a ragazzo/a dei sei mesi di scuola, non voglio dire chiusa, ma “distante”.

E quando mai è mai sembrata un’emergenza in Italia la distanza dalla scuola per quei minori tenuti esclusi dal tempo pieno? Il 50% degli alunni della primaria, perlopiù disposti al Sud, perlopiù poveri, esattamente quelli che poi risultano avere i rendimenti scolastici più bassi, hanno da 40 anni circa due anni in meno di scuola. Nessuno ne ha mai calcolato il valore nè la necessità di dare quello che gli togliamo. Il costo lo paghiamo tutti. Nella bozza del NG Plan non v’è traccia. Eppure siamo coperti ogni giorno di colonne e colonne di dichiarazioni sulla priorità della Scuola, dei giovani, delle donne.

Date queste premesse un Next Generation UE, avrebbe dovuto puntare prioritariamente su questi ritardi strutturali, che riguardano proprio le generazioni future, per colmarli, non per “assaggiarli”. E doveva farlo non per fare un regalo alle donneperchèdonne, ai giovaniperchégiovani, e ai minoriperchéminori. Ma perché questi sono i ritardi italiani, sono il freno economico reale del Paese, sono le fasce escluse da servizi.

Sembrava l’avessero compreso, nei mesi di mobilitazione delle donne su questi temi. E via tante promesse. Salvo poi perderci la faccia di fatto, perché nel Past Generation UE, proposto dal Premier Conte ed elaborato immagino con i ministri Gualtieri, Patuanelli e Amendola, su donne, giovani, e sociale c’è un unico calderone di 17 miliardi in cui la voce parità di genere pesa 4,2 miliardi su 209 miliardi a disposizione. Sulla Scuola circa 10 miliardi su 200. Sui nidi circa 2 miliardi su 209, quando per arrivare a una copertura del solo 33% servirebbero circa 4 miliardi l’anno per 10 anni. Assaggiare i problemi e non divorarli, dare contentini, e state zitti se potete. Ovviamente ci si dice che anche le donne, i giovani e i minori, si avvantaggeranno delle enormi risorse allocate su Innovazione, Digitale e Green (ambiti, tra l’altro, non in crisi). E che i temi di cui parliamo sono spalmati trasversalmente.

A questo punto immagino che i 15 miliardi necessari per portare tutti i bambini e le bambine al nido siano inseriti nel green alla voce fauna. E il tempo pieno alla primaria farà sicuramente parte del capitolo riconversione energetica degli involucri edilizi nella grossissima fetta di torta destinata al “green”, che detta così suona tanto Greta, ma poi la vedi molto scarnificata, “riqualificazione energetica degli edifici”, e capisci che l’Ance ha fatto bene il suo lavoro.

Ma questi soldi trasversali per le infrastrutture sociali, e, dunque, per donne, giovani, minori, persone, ‘ndo stanno? Si dice a Roma? Trasversalmente. Sì, ma dove?

Per realizzare una rete di infrastrutture sociali degne di questo nome ci vuole una voce, precisa e definita, non un “trasversale”. Ci vogliono denari, tanti, ma farlo fa crescere il Paese intero, e, con investimenti nel sociale e in scuola, si cresce più velocemente che se si investe solo nel digitale e nel green.

Tra l’altro con quali competenze e quali persone la facciamo la rivoluzione digitale e quella green? Ci sono valutazioni d’impatto già fatte e raccontate in mille convegni: senza sociale, senza lavoro delle donne e dei giovani e senza scuola la crescita del paese su innovazione e green è un’ipotesi ardua. Per cui ci si augura che cambi e di parecchio quella bozza, a prescindere dalle governance.

C’è da dire che nel sociale e nella scuola si possono fare meno lobby economiche con grossi gruppi industriali e che invece con sociale e scuola sono i beni comuni ad essere al centro, poca ciccia per affari. Se le voci maggiori sono sull’edilizia e il digitale significa che grosse lobby sull’edilizia e il digitale hanno fatto il loro lavoro, mentre sempre più deboli le lobby necessarie negli ambiti che riguardano le persone, e sicuramente non sono nella testa di chi governa. Vorremmo essere smentite nei numeri, non nella retorica.

Donne, giovani, scuola, servizi. I paesi che affrontano meglio le crisi e la sfida con il futuro sono proprio quelli con un welfare robusto, con una scuola efficiente, con divari di genere azzerati e con bassi tassi di diseguaglianze; da noi le diseguaglianze le alleviamo col brodo di carne di diseguali offerte di strutture sociali, di scuola, di sanità. Insomma, adelante! Ultimi donne, giovani e bambini e indietro tutta col Past Generation UE!

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mila spicola

Nata a Palermo ma vivo altrove. Dalla parte dei bambini, sempre. Insegnante, lettrice, ogni tanto rido. Tre gatti, tanti libri e tanti sogni.